A dispetto del fatto che i contenuti dell’affidamento condiviso siano abbastanza evidenti anche alla prima lettura del testo di legge, ancora, a distanza di quasi 20 anni dalla entrata in vigore della legge 54 del 2006, si deve constatare che si è abbastanza lontani da una sua applicazione fedele.
Diritto dei figli ad un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori non può voler dire altro che una tendenziale presenza paritetica di essi. Ovvero che l’ipotesi di una frequentazione nella stessa misura con assunzione paritetica di impegni, responsabilità e sacrifici di tempo e faticada parte di entrambi i genitori è la soluzione che il legislatore considera la più idonea. Una soluzione alla quale si è giunti dopo un interminabile confronto parlamentare e l’audizione di decine di esperti, nonché dopo avere preso in considerazione le più serie e attendibili ricerche scientifiche che hanno valutato tutto il ventaglio di modelli possibili. Ciò mette al bando l’esistenza di un genitore ufficialmente e stabilmente “prevalente”, quale figura giuridica creata dal giudice, con caratteristiche proprie, diverse da quelle dell’altro genitore in termini di diritti e doveri. Mentre ben possono darsi situazioni asimmetriche contingenti e perfettamente reversibili, se del caso, ovvero in funzione di esigenze dei figli. D’altra parte, il diritto dei figli a ricevere cura, e non solo mantenimento economico, da parte di entrambi i genitori squalifica il ricorso sistematico e a priori alla contribuzione mediante assegno, viceversa privilegiando la partecipazione diretta a compiti di accudimento, comprensivi degli aspetti economici.
A questi due pilastri fa da logico corollario una serie di altri aspetti operativi. Ad esempio, la decisione che riguarda l’assegnazione della casa familiare dovrebbe risentire della priorità di un interesse dei figli, da intendersi nel senso più ampio, che scavalca il privilegio a vantaggio del “coniuge debole”, cui certamente si pensa, ma con provvedimenti specificamente dedicati, evitando mescolanze improprie. In concreto, il giudice dovrebbe fare attenzione anche al modo in cui i figli hanno vissuto la convivenza del gruppo familiare all’interno di quelle pareti, evitando una rigida applicazione del principio della conservazione dell’habitat. In altre parole, un luogo che susciti memorie tristi e dolorose non può essere considerato da privilegiare in vista della vita futura. Allo stesso modo, la partecipazione diretta di entrambi i genitori ai compiti di cura dei figli e una frequentazione equilibrata, se non paritetica, dovrebbe incidere sulla prassi attuale per quello che riguarda la sorte dei figli al momento in cui diventano maggiorenni. Non è accettabile che, come finora è avvenuto, continuino ad essere gestiti dal genitore che era “collocatario”, il quale con la maggiore età anziché fare un passo indietro rispettando il diritto del figlio alla autoresponsabilità e autodeterminazione viene automaticamente e rigidamente definito “convivente”, ignorando il suo diritto a trovarsi dove vorrà per tutto il tempo che vorrà. E’ per queste ragioni che la battaglia non è finita. Il successo riportato dall’associazione Crescere Insieme, all’interno della quale venne ideato e verbalizzato l’istituto dell’affidamento condiviso – poi, con il contributo di altre forze riformatrici, portato all’approvazione nel 2006 – è stato vanificato da una prassi conservatrice, che ha restaurato nei fatti il vecchio modello monogenitoriale. Per cui sono nate fin dal 2007 una serie di proposte di legge, pure elaborate dall’associazione, fino al più recente disegno di legge 832, di cui è data notizia esaustiva in altra parte. Adesso avvertiamo e segnaliamo l’esigenza di una mobilitazione di quanti sono favorevoli ad autentiche pari opportunità per le madri, alla possibilità di una concreta partecipazione alla vita dei figli da parte di padri che vogliono essere presenti: ovvero alla tutela per i figli di diritti finora riconosciuti solo a parole.